martedì, febbraio 27, 2007

Corte internazionale di giustizia: Srebrenica fu genocidio, ma la Serbia è innocente (o quasi)


Dopo anni di attesa, la Corte internazionale di Giustizia ha emanato la propria sentenza su quanto successo in Bosnia durante la guerra, in riferimento alla Convenzione internazionale contro il genocidio.

La sentenza contiene aspetti politici oltrechè giuridici, ed è un fatto normale se rapportato all'attività e all'essenza stessa delle giurisdizioni internazionali; d'altronde la giurisdizione penale internazionale è relativamente giovane e ancora troppo influenzabile dalla volontà e dalle convenienze delle cancellerie.

Il tribunale in questione poi, è istituzione molto particolare, potendo infatti pronunciarsi solo in riferimento a controversie tra stati sovrani.

La sentenza ha riconosciuto che in Bosnia è stato commesso il crimine di genocidio, poichè è stata perseguita la cancellazione di un gruppo di individui proprio in considerazione della loro appartenenza di gruppo, etnico e religioso.

Vero è che a Srebrenica e a Zepa è stato commesso un genocidio, e anche se non c'era bisogno di questa sentenza per rendersene conto, va detto come ottenere questo tipo di pronuncia da parte di un tribunale internazionale non sia mai cosa facile, (e anche in quest'ultimo caso la sentenza è stata molto dibattuta dal collegio giudicante, come dimostrano le "dissenting opinions" del vicepresidente e altri membri componenti il collegio giudicante).

La sentenza, nel suo punto più controverso, ha assolto la Serbia almeno dal punto di vista di una responsabilità diretta per i fatti bosniaci, ma al contempo ha sottolineato le colpe di Belgrado per non aver fatto nulla per prevenire i crimini, arrestare i responsabili e assicurarli alla giustizia, ovvero a quel (diverso) tribunale internazionale al quale è demandata la giurisdizione per i crimini commessi durante i conflitti jugoslavi.

Le reazioni sono state altrettanto prevedibili: da parte bosniaca insoddisfazione e indignazione, anche perchè la sentenza rigetta la richiesta di Sarajevo tesa all'ottenimento di un risarcimento miliardario; da parte serba una certa soddisfazione, da parte serbo-bosniaca un certo "sollievo".

Interessante la reazione di Carla Del Ponte, che si è detta soddisfatta, perlomeno per il riconoscimento che genocidio vi è stato.

Non credo che da un tribunale come la CGI si potesse aspettare una sentenza diversa, anzi fino a poco tempo fa sarebbe stata addirittura prevedibile una sentenza "di rito" con la quale la Corte avrebbe disconoscuito la propria competenza sul caso.

E probabilmente la CGI non è la sede nella quale le vittime di Srebrenica e di tutti gli altri crimini orrendi perpetrati in Bosnia potranno trovare giustizia.

Una giustizia che dovrà passare comunque per l'Aja, ma attraverso il Tribunale per la ex Jugoslavia.

Una giustizia che aspetta ancora di poter giudicare i principali imputati, così come attendono tante vittime che, pur sopravvissute alle mattanze, da quei giorni hanno smesso di vivere, e due popoli per la cui riconciliazione e rinascita è necessario ancora dare risposte giuste e definitive.

Una giustizia che dovrebbe chiamare in causa altri attori, complici dei criminali, incapaci ma soprattutto non intenzionati a fermare i massacri.

Queste persone, autorevoli politici, diplomatici e generali non vivono in Serbia, o in Bosnia; sono in Francia, Gran bretagna, Olanda, Giappone..

Loro non pagheranno mai, qualcuno ha persino ricevuto premi e riconoscimenti.

La decisione di ieri segna comunque una svolta, ancora insufficente - se è vero che alcuni (come Dodik o Nikolic) negano ciò che non si può più negare, ma altri arrivano addirittura a ipottizzare un atto di scuse formale da parte del Parlamento di Belgrado (Tadic), fatto che avrebbe una portata simbolica enorme.

A condizione che - è evidente - i latitanti eccellenti siano finalmente assicurati alla giustizia, e i Balcani possano una volta per tutte voltare pagina, perchè dimenticare quanto accaduto sarebbe un altro crimine, almeno quanto non cercare di garantirsi un futuro migliore.


Bandiera della Jugoslavia che fu