Bosnia, dove si ricorda il passato ma non si vede un futuro
La Bosnia Erzegovina ha commemorato lo scorso 11 luglio il genocidio di Srebrenica.
Per capire le dimensioni di quella barbara mattanza i numeri potrebbero non bastare, ma ricordarli credo sia parte di quel dovere morale di combattere l'oblio o peggio il negazionismo che dovrebbe essere patrimonio comune degli uomini di buona volontà.
Quest'anno sono state tumulate altre 520 vittime (per altre 200 i famigliari hanno preferito una sepoltura privata e in altri luoghi), portando il totale delle vittime finora identificate grazie al meticoloso e complicato lavoro dei patologi forensi a 5657.
E la conclusione di questa tremenda identificazione è ancora lontana.
Durante la commemorazione ha parlato il rabbino capo di New York, Arthur Scheiner, che ha sottolineato le tristi somiglianze fra quanto avvenuto in Bosnia negli anni 90 e l'olocausto. Paragone importante, anche in considerazione del fatto che lo stesso Schneier è un sopravvisuto ai campi di concentramento, dove ha perso la famiglia.
Un messaggio in ricordo della strage è pervenuto dal Presidente Obama e tante diplomazie hanno giurato e spergiurato che mai si ripeterà nulla del genere, come se la Siria (e tante, troppe altre situazioni) non le smentisse quotidianamente.
Intanto proseguono i processi a Radovan Karadzic e Ratko Mladic.
La Bosnia Erzeovina si diceva, già ma cosa sia questo Stato resta un mistero per non dire una farsa.
L'ennesimo Governo è caduto, e nel magma politico bosniaco potrebbe presentarsi un'inedità alleanza tra il partito socialdemocratico (forse l'unico partito davvero multietnico del paese) e il movimento del magnate dell'editoria Radoncic, una sorta di Berlusconi in salsa bosgnacca con l'effetto presumibile di isolare ancora di più la parte serba del paese, saldamente nelle mani dello zar Dodik, e rendere lo stallo politico con cui il paese convive fin dalla sua nascita ancor più inestricabile. Per informazioni ulteriori rimando ad una bella analisi di Alfredo Sasso su East Journal.
Il problema è noto: la struttura politico istituzionale bosniaca, così come è stata disegnata alla fine del conflitto dagli accordi di Dayton è fatta per non funzionare.
Peggio: è fatta ad uso e consumo dei partiti ad ispirazione etnica, che hanno il solo scopo di accrescere il proprio potere clientelare all'interno delle "comunità" di riferimento (bosgnacchi, serbi e croati) e non hanno alcuna intenzione nè convenienza, alla nascita di un vero stato federale, con competenze istituzionali ben delineate tra i differenti livelli di governo e un sistema che non obblighi i propri cittadini a doversi identificare obtorto collo con un'appartenenza etnica.
I problemi nascono da qui, da quello che l'international crisis group definisce il nodo gordiano del paese, ovvero la sua mancata riforma costituzionale.
Il fatto che l'Europa in questo momento abbia altri problemi, non ultimo la sua sopravvivenza quale entità sovrastatale certo non induce ad essere ottimisti.
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