martedì, gennaio 23, 2007

Serbia: tanto rumore per nulla?



Le elezioni parlamentari serbe, che si sono svolte domenica scorsa, non sembrano fornire indicazioni politiche chiare sul futuro prossimo del più importante stato post jugoslavo, ma delineano al contrario uno scenario rimasto quasi immutato e destinato fatalmente ad essere trasformato da attori e fattori provenienti dall’esterno.
Una prima considerazione da svolgere riguarda il commento che questa tornata elettorale ha ricevuto dai media internazionali: da ogni parte si è sostenuto come in Serbia sia avvenuta un’affermazione delle forze “democratiche” e “filoeuropeiste” nei confronti dei partiti nazionalisti, accadimento quest’ultimo di buon auspicio per procedere finalmente alla risoluzione delle principali questioni geopolitiche che ancora affliggono la Repubblica Serba.
Il quadro però, ad un’analisi più approfondita, si rivela abbastanza diverso e – per certi aspetti – peggiore.
I risultati dimostrano che (come d’altronde era stato previsto da quasi tutti gli osservatori), i radicali hanno conseguito la maggioranza relativa (28% e 81 seggi), ma – come avvenuto nelle precedenti elezioni del 2003 – non hanno la forza sufficiente a formare un Governo.
Questo compito spetterà invece ai tre partiti che si sono classificati alle spalle dei radicali: i democratici del Presidente della Repubblica Tadic (DS, 22%, 65 seggi), il,partito democratico serbo del premier uscente Kostunica (DSS, 16%, 47 seggi) e il partito G17 plus (di orientamento liberale, 6% e 19 seggi).
Fuori dai giochi il partito liberale di Jovanovic, che un po’ a sorpresa ha superato la soglia di sbarramento del 5%, (LDP e altri, 15 seggi) che nei fatti si è rivelato quasi una lista di disturbo nei confronti di Tadic. Altra sorpresa è il redivivo Partito socialista, (orfano del defunto Slobodan Milosevic), capace anch’esso di accedere in Parlamento (SPS, 5%, 16 seggi).
Questo è dunque il nuovo Parlamento, ma non è poi così diverso da quello uscente, se non fosse per l’assenza del Ministro degli Esteri uscente, (Vuk Draskovic) il cui movimento rimane fuori: sembrerebbe la fine della carriera per uno dei politici balcanici più discussi degli ultimi quindici anni, ma il personaggio ci ha abituato a tali e tante rinascite che non ci sentiamo di dare nulla per scontato.
Positivo rimane il fatto che le elezioni hanno rispettato tutti gli standard di una democrazia moderna, negativo invece che – dopo quindici anni – quasi la metà del Paese segua ancora personaggi che è difficile definire in modo diverso da criminali.
La prima questione che la politica serba si troverà a dover affrontare è – neanche a dirlo – il Kosovo, del cui futuro nei prossimi giorni sarà ufficializzato il destino, e sul quale la Serbia di fatto avrà ben poca voce in capitolo.
Questo scoglio rappresenterà il primo scoglio che la costituenda coalizione democratica dovrà superare, e qui emergono già seri dubbi: se i democratici di Tadic accettano la perdita della provincia a maggioranza albanofona (ma come quasi ogni Partito in Serbia si guardano bene dal renderlo pubblico) così non è invece per il loro partner principale, quel Kostunica che del Kosovo ha fatto una questione di principio, anche per cercare di sottrarre voti ai nazionalisti (missione fallita, come si è visto).
Come si comporteranno dunque i leaders serbi quando la comunità internazionale presenterà loro (l’ennesimo) conto?
Come spiegheranno all’elettorato che il kosovo è in realtà perso dal 1999, senza rischiare una crisi di Governo (prima ancora che un Governo vi sia, il Parlamento è convocato per Febbraio) e nuove elezioni che segnerebbero uno “tsunami” nazionalista?
Forse l’unica linea sarà di ottenere in cambio il massimo dall’Unione Europea (io Serbia cedo sul Kosovo, tu Europa riapri i colloqui sull’accordo di associazione e dei criminali ricercati ne parliamo poi con calma. Tu Europa inoltre cominci a controllare sul serio che in Kosovo i miei cittadini non subiscano un regime di apartheid): certo che uno scenario simile richiederebbe anche una buona dose di pragmatismo da Bruxelles, cosa tutt’altro che scontata, anzi.
La situazione è tutt’ora bloccata, e ne sapremo di più dopo le reazioni serbe alla proposta internazionale sul Kosovo, attesa alla fine mese. A quel punto qualcosa succederà, ma non è detto che l’evoluzione sia positiva.
Ieri B92 pubblicava le foto dei quartieri generali di tutti i partiti: si levavano in alto i calici, e si brindava.
L’impressione è che anche stavolta chi non ha alcunchè da celebrare siano i cittadini serbi.
Aspettiamo una smentita, che ci auguriamo con tutto il cuore.

1 Comments:

At 11:16 AM, Blogger Roberto Spagnoli said...

Dobar dan Bepi.
Di ritorno da Belgrado leggo la tua analisi post elezioni e sostanzialmente concordo. Secondo me la Serbia sta su un crinale complicato e pieno di rischi ma c'è la possibilità che cominci a fare i conti col passato e guardare al futuro. Certo occorrerebbe un grande scatto di intelligenza e fiducia da parte dell'Europa. Sul Kosovo, sulla questione dei ricercati e su molto altro. E questo forse è il vero problema.
Roberto
www.passaggioasudest.ilcannocchiale.it

 

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